L’amianto è un materiale utilizzato in enormi quantità nei secoli scorsi, ma per i suoi effetti dannosi sulla salute umana, nel 1992 è stato dichiarato fuori legge nel nostro Paese e a partire dal 1993 ne è stata vietata l’importazione, l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione.

Siamo nel 2015, dunque sono trascorsi oltre vent’anni, eppure sono ancora presenti tonnellate di questo materiale nell’ambiente.

Il termine “amianto” deriva dal greco amiantos: incorruttibile e viene utilizzato per indicare la forma fibrosa di alcuni minerali, che in passato sono stati sfruttati commercialmente per le loro peculiari caratteristiche chimico-fisiche. Chiamato anche “asbesto”, l’amianto è virtualmente indistruttibile, in quanto resiste al fuoco ed al calore, agli agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura. E’ tanto flessibile che può essere filato o tessuto, e tuttavia ha un’elevatissima resistenza alla trazione. Ha capacità fonoassorbenti ed è un buon isolante elettrico. I minerali si presentano sotto forma di fibre allungate, ne esistono diversi tipi, fra cui i più utilizzati nel tempo sono stati:

  • Crisotilo (dal greco “fibra d’oro”);
  • Crocidolite (dal greco “fiocco di lana”);
  • Amosite (derivante dall’acronimo di “Asbestos Mines of South Africa”.

In particolare le fibre di crisotilo sono centinaia di volte più sottili di un capello, ed essendo così sottili e invisibili ad occhio nudo, si disperdono con estrema facilità nell’ambiente sotto forma di polvere venendo inalate senza problemi e condotte nei polmoni.

Nel corso del tempo questo materiale ha avuto diversi utilizzi: i Romani lo usavano per le cremazioni e per formare il lucignolo delle lampade votive; gli alchimisti lo chiamavano “lana di salamandra”, per la sua resistenza al fuoco. Alla fine dell’800, Era del vapore, veniva utilizzato per l’elevata resistenza al calore, al vapore e alla pressione per le guarnizioni, tessuti e materiali di coibentazione.

Nel 1912 due ingegneri italiani misero a punto la prima macchina produttrice di cemento-amianto e già negli anni ’60 si trovavano in commercio oltre 3.000 prodotti contenenti amianto: edilizia, navi, vagoni ferroviari, guarnizioni di ricambio per motori, tubi per acquedotti e fognature, canne fumarie, serbatoi per l’acqua, freni per auto, guanti di protezione, tessuti ignifughi, corde e schermi.

Nonostante ci fossero sospetti sulla sua cancerogenicità già nel 1930, comprovati successivamente da studi scientifici, solo nel 1992 con la legge n. 257 è stata regolamentata per la prima volta qualsiasi attività di commercializzazione, utilizzo e smaltimento sul territorio nazionale. Nello stesso anno è stata istituita la Commissione nazionale amianto insediata presso il Ministero della Salute, con lo scopo di svolgere attività di ricerca sul trattamento dell’amianto in fase di bonifica e di redigere documenti-guida sulla valutazione, il contenimento e l’eliminazione di materiali contenenti asbesto.

In Italia è stata stimata attualmente una presenza di coperture in fibrocemento pari  a 32 milioni di tonnellate, che con il tempo e l’azione usurante degli agenti atmosferici, tendono a sfaldarsi in microparticelle inalabili. La popolazione esposta è di circa sei milioni e secondo l’Istituto Superiore di Sanità nelle zone contaminate si registrano casi di tumore quattro volte maggiori rispetto alla media nazionale, con un picco di mortalità per mesotelioma pleurico previsto nel 2025.

Le aree a rischio si possono bonificare mediante incapsulamento, confinamento e rimozione, volgendosi a ditte specializzate e certificate. La rimozione è sicuramente la procedura che assicura l’eliminazione del problema, va eseguita bagnando la superficie per evitare che le fibre liberate si disperdano nell’ambiente. Una volta rimossa, va immediatamente imballata e sigillata per lo smaltimento.

Purtroppo i costi per liberarsi da questo temuto nemico sono ancora ingenti e per incentivarne l’eliminazione, nella Legge di Stabilità 2015 varata dal nostro governo, è stata confermata la detrazione fiscale del 50% per le spese di ristrutturazione edilizia e bonifica amianto, sostenute fino al 31 dicembre 2015.

A seguito dei casi di Casale Monferrato, dell’ILVA di Taranto e dei tanti operai dei cantieri navali della Fincantieri di Genova, tutti siti in cui si è registrato un tasso di mortalità impressionante  per cancro al polmone, mesotelioma e asbestosi, sono stati presi dei provvedimenti a  livello di prestazioni pensionistiche e benefici previdenziali, per cui i lavoratori che sono stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, a concentrazioni superiori ai limiti di legge e attualmente in mobilità, possono accedere alla pensione anticipata avendo ottenuto però il relativo riconoscimento da parte di un giudice; possono ottenere dunque la maggiorazione del riconoscimento ai fini pensionistici, così come previsto prima della riforma del 2003.

Il fatto più allarmante e grave però è che in un’ottica di miglioramento e risoluzione del problema a livello nazionale, secondo una denuncia fatta dall’Osservatorio nazionale sull’amianto (Ona) alla commissione Lavoro del Senato, l’Italia sembrerebbe continuare ad importare amianto. Appresa la notizia dell’indagine conoscitiva del pm Raffaele Guariniello della Procura della Repubblica di Torino in ordine alla problematica amianto spesso presente nei prodotti di importazione dall’India e dalla Cina, l’Ona ha depositato agli atti in commissione “un documento che dimostra come agli enti ufficiali dello Stato indiano risulti importazione di amianto in Italia”, spiega la onlus.

“L’Ona ritiene che il problema amianto non possa essere affrontato solo con misure giudiziarie e previdenziali – si legge in una nota della onlus- anche perché le prime sono inefficaci in termini di tutela della salute, le seconde altrettanto e per di più tutte dispendiose, e anzi, l’economia in corso determinerà nei prossimi decenni un aumento esponenziale di spesa pubblica per la previdenza e l’assistenza, anche sanitaria.

Nonostante questo materiale sia messo al bando in oltre 50 nazioni, è ancora molto attiva la sua produzione e l’uso in particolare in Paesi come la Russia, che ne è il primo produttore, seguito da Cina, Kazakhistan, Brasile, Canada, Colombia e Zimbabwe e numerosi altri Paesi in via di sviluppo e poveri. Anche negli Stati Uniti d’America, nonostante il suo utilizzo sia fortemente diminuito rispetto ai decenni passati, l’amianto non è proibito.

La Cina in assoluto è il maggiore consumatore di amianto, oltre che massiccio produttore: si stima siano in funzione circa una trentina di miniere di asbesto, con una produzione di centinaia di migliaia di tonnellate l’anno e più di un milione di lavoratori che lo trattano quotidianamente.

Il Brasile attualmente rappresenta l’”Eldorado” dell’amianto, ove dal 1960 ad oggi si è passati da un consumo di circa 27.000 a 185.000 tonnellate. In Colombia invece c’è stato un andamento sinusoidale nei consumi nel tempo, con aumento intorno al 1985, un successivo decremento e un nuovo aumento dal 2009. In Cile, Argentina, Uruguay e Onduras è stato messo al bando, mentre in Brasile non c’è una normativa nazionale, per cui solo negli ultimi anni sono state adottate delle proibizioni in alcuni stati tra i quali quello di San Paolo e Rio de Janeiro.

Le aziende del luogo si difendono asserendo che il loro amianto non fa male, è crisotilo ed è diverso da quello italiano. Naturalmente queste affermazioni sono state smentite da studi scientifici, ma intanto decine di migliaia di brasiliani si ammalano di mesotelioma da amianto e molte altre malattie correlate.

In India i lavoratori, spesso donne, non godono di tutele e maneggiano senza alcuna protezione le micidiali fibre di crisotilo, andando incontro ad una sicura malattia. L’International Ban Asbestos Secretariat (IBAS) si batte per la messa al bando dell’amianto in tutto il mondo e nel 2008 ha pubblicato un report intitolato “India’s Asbestos Time Bomb”, in cui si stima nei prossimi anni una crescita vertiginosa delle malattie polmonari. L’amianto è una vera e propria bomba a orologeria anche in altri Paesi come Pakistan, Thailandia e Vietnam, ove spesso le piccole cave di estrazione sono disperse sul territorio e spesso sono adiacenti ai centri abitati.

La speranza per i prossimi anni è che gli interessi economici possano pesare meno rispetto alle vite umane; il mondo ha bisogno di persone che lavorano per poter andare avanti, per cui è importantissimo tutelarne la salute.

Di amianto si muore, possiamo chiamarlo come vogliamo, crisotilo, crocidolite, amosite, eternit, ma il risultato è sempre lo stesso: può ucciderti.

Stress sul lavoro? Un metodo pratico per sentirsi meglio!

Già nel lontano 2004 l’Accordo Europeo sullo stress sul lavoro, (Bruxelles, 8 ottobre 2004), mostrava un chiaro segnale da parte delle figure legislative preposte, a prendere in considerazione i livelli emotivi e di gestione dello stress legato al lavoro.
Nei giorni nostri siamo bombardati da centinaia d’input multimediali e i vari smartphone, tablet, personal computer e altre diavolerie informatiche che dovrebbero semplificare il nostro modo di lavorare, ci costringono invece a un continuo alternarsi di notifiche, mail, chiamate e interazione con i social network.

Se da un lato la tecnologia ci ha permesso di essere più veloci e di connetterci più rapidamente alle informazioni, il sovraccarico delle stesse può essere una forte causa di stress.

Allo stesso tempo altri fattori possono determinare l’insorgere di situazioni emotive dannose per le persone, quali accumulo di lavoro, richieste urgenti, ripetitività della propria mansione e così via.

Come possiamo definire lo Stress?

Lo stress è la reazione avversa a eccessive pressioni o ad altro tipo di richieste; esiste, comunque, una profonda differenza tra il concetto di “pressione” (fattore talvolta positivo e motivante) e lo stress che insorge quando il peso di tale pressione diventa eccessivo.

Lo stress lavoro-correlato produce effetti negativi sull’azienda in termini d’impegno del lavoratore, prestazione e produttività del personale, incidenti causati da errore umano, turnover del personale e abbandono precoce, tassi di presenza, soddisfazione per il lavoro oltre a far scaturire potenziali implicazioni legali.

In questo articolo vogliamo proporvi un metodo pratico e risolutivo nella gestione dello stress personale, dovuto a molteplici impegni e progetti da portare a termine.

Il Guru della produttività David Allen, nel suo straordinario “Getting Things Done” (Detto Fatto! L’arte dell’efficienza edizioni Sperling & Kupfer), illustra un metodo facile e valido per imparare a gestire gli impegni personali.

Vi è mai capitato di avere tantissime cose da fare ma avere la sensazione di non riuscire a fare nulla o peggio di girare a vuoto tra le innumerevoli scartoffie da sbrigare?

Il concetto fondamentale del GTD di Allen è basato sulla necessità che ha una persona di sgombrare le cose da fare dalla propria mente e di registrarle e organizzarle da qualche parte. Il metodo consiste nel «liberare la mente dal lavoro di ricordare ogni cosa che deve essere fatta» e, quindi, concentrarsi pienamente sull’ «eseguire questi compiti».

Cosa fare dunque per liberare la mente?

Prendete un foglio bianco e svuotate la vostra testa scrivendo tutto, ma proprio tutto quello che dovete fare.

Solo dopo aver eseguito un Brain Storming completo di ciò che dovete fare (una lunghissima To-Do-List) passate in rassegna la lista per verificare se vi siete scordati qualcosa. Non lasciate indietro nulla, liberate completamente la testa, scrivendo su carta esattamente tutto ciò che vi ronza in testa.

Una volta liberata la mente dalle varie incombenze, siamo liberi di assegnare (sulla base del nostro istinto) una priorità ai progetti aperti.

Altro punto fondamentale è per ogni “cosa da fare” domandarsi “Qual è il prossimo passo?”.

Questa semplice domanda aiuta a focalizzarsi sulla prima azione da compiere per portare a termine il proprio lavoro.

Nel metodo Getting Things Done è inoltre importante fare in modo di verificare almeno una volta a settimana la propri To-Do-List, in modo da continuare a svuotare la testa dagli impegni.

Riassumendo ecco come liberarsi dallo stress dei troppi impegni sul lavoro:

– Svuotate la mente in un foglio bianco scrivendo tutto ciò che dovete fare

– Controllate la lista per vedere se vi salta in mente qualcos’altro

– Scegliete tra le cose da fare quello che è prioritario e domandatevi “Qual è il prossimo passo?”

– Verificate almeno una volta a settimana la vostra to-do-list aggiungendo/togliendo cose da fare.

Facile no?

 

P.s. Un altro metodo per gestire lo stress che ci suggerisce il nostro collega del settore tecnico, è quello di mangiarsi un bel piatto di spaghetti! Funzionerà? 🙂

 

Da sempre l’Amianto è materia fondamentale di discussione nel campo della sicurezza sul lavoro. Oggi, rispetto al passato, si fa molta più attenzione, ma ancora molto si deve fare. In questo articolo vi proponiamo alcuni spunti di riflessione.

Lo sapevate che l’amianto è stato utilizzato:

  1. dai Romani per le cremazioni e per i rituali religiosi;
  2. confezionato in tovaglie “prodigiose”, come narrato da Marco Polo ne “Il Milione”,
  3. come coperta da parte di Carlo Magno, per impressionare i nemici;
  4. come rinforzante delle stoviglie fino al III millennio a.C.;
  5. in medicina, fino a pochissimi anni fa, per la cura delle malattie infiammatorie, come polvere contro la sudorazione del piede, nelle otturazioni dentarie e come pomata per le gambe.

L’uso di questo materiale dunque avviene da millenni, Primo Levi, chimico torinese ebreo, non riuscendo a trovare lavoro dopo le leggi razziali, lavorò vicino a Torino in una cava di amianto. Levi racconta nel libro “Il sistema periodico” di come alcuni medici già nei primi anni del Novecento si fossero resi conto che l’amianto desse effetti nocivi alla salute umana. Gli studi e le evidenze dei vari casi clinici di persone con depositi nelle vie respiratorie di quei terribili e minutissimi aghetti, sono stati occultati per lasciare spazio allo sviluppo economico e alla moltiplicazione di fabbriche per la produzione di Eternit, Fibronit o Materit.

Questo utilizzo smodato ha fatto sì che attualmente ci sono milioni di tonnellate di amianto ovunque, nell’aria, all’interno degli edifici, nelle navi, nelle scuole, negli isolanti termici e acustici. Il crollo delle Torri Gemelle a New York ha provocato un innalzamento della concentrazione di polveri di questo materiale nell’aria.

Nonostante sia ormai noto che di amianto si muore; nonostante ci siano indagini e condanne penali in corso, ne sono un esempio i proprietari della Eternit di Casale Monferrato,  ancora vengono prodotti circa 2 milioni di tonnellate di amianto ogni anno nel mondo, divise tra Russia, Kazakistan, Cina, Brasile e Canada.

La legge n. 257 del 12 marzo 1992 mette al bando l’amianto in Italia, secondo un programma di dismissione biennale, per cui dalla data del 28 aprile 1994 è vietata l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione d’amianto e di tutti i prodotti contenenti amianto (art. 1).

Lo smaltimento di questo materiale va fatto con particolari procedure che ne evitino il disgregamento, per ovviare dunque ad ulteriori dispersioni di fibre nell’aria. Per questo motivo occorre affidarsi a personale altamente specializzato, che comporta però un costo da sostenere da parte di chi deve liberarsene. Per questo motivo molti decidono di disfarsene illegalmente lasciandone cumuli abbandonati per le strade, peggiorando solo la situazione, sarebbe quasi meglio lasciare tutto dov’è!

Per risparmiare alcune persone pensano di incapsulare le lastre con materiali di rivestimento o vernici che confinano e impediscono alle fibre di disgregarsi, ma questo non risolve il problema, lo sposta solo più avanti nel tempo.

A partire da gennaio 2014, sarà possibile detrarre dalla propria dichiarazione dei redditi gli interventi volti alla bonifica di amianto, con il decreto legge 63/2013 che comprende anche l’ecobonus per gli adeguamenti sismici degli edifici delle zone sismiche 1 e 2 e la possibilità di bonificare gli impianti idrici e le cisterne colpite da inquinamento da arsenico.

L’auspicio è che cavalcando l’onda degli sgravi fiscali sia possibile se non abbattere, quanto meno ridurre il più possibile l’esposizione a questo pericoloso inquinante.

A fine novembre 2013 si è tenuto un importante corso di aggiornamento a Modena, al quale Firotek ha partecipato, riguardante la Legionella spp, le diverse tecniche innovative per identificarla, la gestione del rischio,  la prevenzione e le metodologie per eradicarla.

Numeroso e di grande spessore è stato il team di relatori e moderatori presenti, tra cui la Prof.ssa Paola Borella, ordinario di Igiene presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.

Come è noto, la Legionella è un batterio pneumofilo, che agisce sui macrofagi cellulari, provocandone la lisione e la successiva infezione di altre cellule. Non si verificano contagi tra uomo e uomo e non ci sono sviluppi sui meccanismi di virulenza.

I batteri di Legionella crescono nel biofilm degli ambienti acquatici, interagendo con le amebe, i protozoi e i macrofagi presenti e fagocitano i batteri gram + e gram -.

Esistono numerosi tipi di Legionella, per cui deve essere eseguita una tipizzazione, ossia vengono suddivisi in ceppi: isolati isogenici e identici tra loro, ma diversi da altri isolati della stessa specie. Stabilire i ceppi è fondamentale per poter eseguire la finger print tra quello ambientale e quello clinico.

La temperatura gioca un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo del batterio, che ad una temperatura inferiore a 50°C ha una crescita ottimale e si può determinare la presenza con il metodo colturale, mentre a temperature superiori a 55°C non c’è crescita batterice e si deve determinare con il metodo molecolare.

Gli impianti che utilizzano l’acqua durante il loro funzionamento, costituiscono un punto critico per l’annidamento, lo sviluppo e la proliferazione della Legionella, in particolare le torri evaporative, le UTA e gli impianti idrici centralizzati, dotati di boiler: quest’ultimo è il vero punto critico dell’impianto, spesso sovradimensionato e in cui si può avere una stratificazione della temperatura, più alta nella parte superiore e minore in quella inferiore. Per evitare la stratificazione è bene installare le pompe shut che permettono un’omogeneizzazione  della temperatura all’interno. La presenza di rami morti, le tubazioni plastiche che si contaminano più facilmente di quelle di rame, l’assenza di un ricircolo funzionante nei servizi igienici e la vicinanza tra la rete dell’acqua fredda e quella dell’acqua calda, sono tutti possibili cause di proliferazione batterica. La temperatura di crescita ottimale per il batterio è compreso tra i 20 e i 45°C, tra i 50 e i 60°C sopravvive, a temperature superiori muore.

I possibili trattamenti di prevenzione sono:

  • Ipertermico continuo, ma è efficace solo se l’impianto è nuovo ed è progettato solo per questo trattamento;
  • Biossido di cloro, ma è altamente corrosivo e aumentando la temperatura, diminuisce l’efficacia; comporta la formazione di sottoprodotti clorati e cloriti;
  • Perossido di idrogeno combinato con l’Argento, ma il costo del prodotto è elevato ed ha problemi di tempi di contatto e penetrazione all’interno del biofilm; favorisce lo sviluppo di batteri ambientali (pseudomonas)
  • Monoclorammine, sembrano essere un metodo efficace, meno aggressivo per le tubazioni, ad eccezione di quelle di rame; non produce sottoprodotti clorati né cloriti.

Nel 2012 sono stati denunciati circa 1.300 casi di infezione da Legionella, in particolare le regioni maggiormente colpite sono state  la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio e la Campania. Le strutture maggiormente esposte sono gli alberghi, i nosocomi, le strutture sanitarie, le terme e le piscine.

Negli ambienti sanitari il Direttore Sanitario ha una grande responsabilità per la gestione del rischio clinico, in particolare in virtù del D. Lgs. 502/517 229/99, deve mettere in atto misure preventive, e eventualmente risolutive in caso di contaminazioni, per garantire la sicurezza dei pazienti e di tutto il personale presente all’interno della struttura.

I lavoratori maggiormente esposti sono  i manutentori delle torri evaporative, degli impianti di depurazione, i vivaisti, gli addetti alle vendite di vasche idromassaggio e il personale degli autolavaggi. Il D. Lgs. 81/08, il nuovo Accordo Stato Regioni del 7 febbraio 2013 e la UNI EN 83098 :2002, linee guida per la misurazione di microrganismi e endotossine aerodisperse, permettono ai responsabili della sicurezza di conoscere e attuare le procedure da attuare per garantire e tutelare la sicurezza del personale in genere.

Le possibili strategie di difesa comportano ovviamente dei costi da sostenere, che possono essere molto gravosi nel caso di installazione dei filtri terminali con sostituzione mensile (circa 95.000€/annui), o molto più sostenibili nei casi di iperclorazioni, trattamenti con monoclorammine, perossido di idrogeno o biossido di cloro (da 3.000 € a 8.000 €/annui).

Negli Stati Uniti d’America l’uso delle monocloroammine avviene già dal 2002, ed è regolato dagli standard dell’EPA, per cui l’acqua potabile può contenere al massimo 4mg/l di Cl2  (National Primary Drinking Water Regulation EPA, 2002), mentre l’Organizzazione Mondiale per la Salute (WHO) stabilisce uno standard per le monoclorammine usate come disinfettanti pari  a 3 mg/l. Per le di e tri-clorammine non ci sono ancora standard per carenza di informazioni sufficienti a stabilire una linea guida per la salute.

Le clorammine si formano per effetto della reazione fra cloro (Cl2)e ammoniaca (NH3), durante tale reazione si formano tre clorammine inorganiche: monoclorammine (NH2Cl), diclorammine (NHCl2) e triclorammine (NCl3). Frequentemente sono prodotte tramite l’aggiunta di ammoniaca ad acqua contenente cloro libero. Il valore ideale del pH di reazione è 8,4, ossia l’acqua è leggermente alcalina.

NH3 (aq) + HOCl ®NH2Cl + H2O

Le clorammine possono essere usate come candeggianti, disinfettanti ed ossidatori, sono in grado di uccidere i batteri penetrando la parete cellulare e bloccando il metabolismo. A pH superiore a 7 le monoclorammine sono la specie preponderante. Non sono adatte per la disinfezione dell’acqua delle torri di raffreddamento perché i suoi composti reagiscono lentamente con altri microrganismi patogeni.

E’ preferibile usarle rispetto al cloro perché si formano pochi composti organici (trialometani) e cancerogeni (acido acetico alogenico).

Presentano lo svantaggio di non scomparire quando l’acqua rimane ferma per alcuni giorni e devono essere eliminate dall’acqua, che avviene solo mediante l’utilizzo di filtri a carboni attivi, perché a causa del loro basso peso molecolare sono difficili da rimuovere per addolcimento, osmosi inversa, ebollizione o distillazione.

Inoltre quando in acqua sono presenti elevate quantità di materia organica, oltre i 3 ppm, si formano ammine organiche, che non hanno le stesse proprietà di quelle inorganiche.

Infine elevate concentrazioni di ammoniaca servono da nutrienti per la nitrificazione, dei batteri acquatici, che quindi possono aumentare il livello di nitrati nell’acqua, che si trasformano in nitriti nello stomaco, potendo infine formare le N-nitrosammine, cancerogene, reagendo con le proteine del pesce. Essendo i bambini più suscettibili ai nitriti, è sempre consigliabile alimentarli con acqua che abbia questi ioni inferiori ai 25 μg/l.

La presenza di ammoniaca può causare anche la corrosione del piombo (Pb) e del rame (Cu) presenti nelle tubazioni, per impedire che ciò avvenga, perché possono innalzare i livelli di Pb nelle acque ad uso umano, vengono aggiunti gli ortofosfati.

In Europa le linee guida non contengono standard per le clorammine, risulta ancora tra i metodi in corso di studi, saranno aggiunti solo quando la Direttiva  Europea per l’acqua potabile verrà modificata.

In particolare in Italia si fa ancora riferimento alle Linee Guida G. U.  103 del 5/5/2000, nel 2013 ne è stata fatta una revisione con degli aggiornamenti, che saranno pubblicati quest’anno, 2014.

Nell’attesa non abbassiamo la guardia su questa tematica e sui rischi che l’uomo corre per la propria vita, a causa della negligenza o la cattiva informazione degli organi preposti alla tutela della sicurezza. E’ necessario predisporre un Water Safety Plan, che faccia parte del DUVRI, tenersi continuamente aggiornati sulle tecnologie e le metodologie innovative adottabili, predisporre un capitolato speciale e un disciplinare tecnico per stabilire le responsabilità dell’ospedale e del gestore degli impianti.

Articolo tecnico a cura del Team Operations Firotek
Foto tratta da Google immagini

 

Tutti noi siamo continuamente bombardati da Decibel che mettono a rischio (e infastidiscono) il nostro sistema uditivo.

La quantità di stress prodotta dall’inquinamento acustico è aumentata negli ultimi anni in via esponenziale, basti pensare ad una giornata intensa di traffico, un aeroporto nelle vicinanze o ancor più semplicemente la musica del vicino a volume elevato.

Tutte queste sollecitazioni possono provocare danni irreversibili al timpano e alle membrane dell’apparato uditivo.

Compito molto importante per chi si occupa di sicurezza sul lavoro, è proprio quello di valutare e prevenire i rischi collegati con il Rumore.

In tale valutazione uno strumento si rende indispensabile: il fonometro.

Noi di Firotek ci siamo occupati di situazioni molto particolari, in cui abbiamo utilizzato degli strumenti di alta precisione per rilevare e tenere sotto controllo il rischio acustico.

Presso alcuni clienti abbiamo, infatti, effettuato indagini di esposizione al rumore per operatori impiegati nei call center come in riferimento al Decreto Lgs. 81/08 art. 181.

L’esecuzione di tali misure richiede la possibilità di effettuare delle registrazioni facendo indossare le cuffie dell’operatore direttamente ad un manichino dotato di microfoni in miniatura posti nell’orecchio artificiale.

Per fare una registrazione significativa, è necessario che il colloquio telefonico sia il più rappresentativo possibile, quindi l’operatore dovrà essere messo in condizione di ascoltare in parallelo la comunicazione e di rispondere alla chiamata indipendentemente dalle cuffie normalmente usate.

Un pizzico di malinconia ci coglie pensando che i giovani frequentatori di discoteche non hanno la minima consapevolezza del fatto che i 110 dB (rilevati mediamente presso tali luoghi) sono appena sotto il limite della soglia di dolore percepito dall’essere umano (120 dB).

Liberi si, di andare a ballare, ma non dimentichiamoci che nei luoghi di lavoro è fondamentale indagare tali problematiche e, per fortuna, sempre più lavoratori prestano attenzione ad utilizzare i DPI previsti.

Nel mese di Ottobre il Dott. Giampaolo Sarao ha rilasciato un’intervista per Hospital & Public Health, rivista specializzata di settore.

Intervista Giampaolo Sarao PDF
Ecco l’intervista integrale in PDF

Abbiamo voluto fornire un documento facile e semplice in cui si potessero riassumere tutte le informazioni utili per chi si occupa di gestire il problema della Legionella.
Consigliamo di stampare il file e posizionarlo in un posto vicino in modo da avere sempre a portata di mano un promemoria per gli interventi da pianificare.

Lo staff Firotek

Controllo e prevenzione legionella PDF
Ecco il documento in PDF

Nel mese di Aprile la Dott.ssa Barbara Fiocco ha rilasciato un’intervista per la rivista Ambiente & Sicurezza sul lavoro.

Intervista Barbara Fiocco PDF
Ecco l’intervista integrale in PDF

Da sempre attenta alle iniziative concernenti la sicurezza e la prevenzione della salute nei luoghi di lavoro, la Firotek ha partecipato, il 21 e 22 Marzo, al Safety e Security Forum di Gubbio. All’evento, organizzato nella splendida cornice naturalistica e storica del Park Hotel ai Cappuccini, hanno partecipato alcune tra le principali aziende italiane ed internazionali. Firotek ha portato avanti le tematiche che da sempre coltiva con passione e professionalità: la tutela della qualità dell’aria negli ambienti confinati, la bonifica degli impianti di condizionamento e il contenimento della Legionella, il tutto per garantire alle persone benessere e comfort.

Durante gli incontri con i professionisti della sicurezza, se da un lato è emerso il forte interesse per la tipologia di servizi di controllo della qualità dell’aria e dell’acqua, il tutto per la tutela della persona, dall’altro lato si è manifestata la troppo spesso scarsa prevenzione svolta verso il contenimento di tali problematiche, nonostante la normativa vigente (Decreto Legge n. 81 del 2008 e s.m.i.) e le recenti Linee Guida sulla valutazione del rischio per gli impianti di condizionamento (Accordo Stato Regioni Febbraio 2013).

La tutela della salute delle persone negli ambienti di lavoro, è una problematica forte ed attuale come non mai e rappresenta, senza dubbio, uno degli indici per misurare la qualità civile di un paese. Incontri come questo, rappresentano rilevanti opportunità di crescita fra aziende e servono per fare il punto della situazione sulla questione sicurezza in Italia. Molta strada c’è da fare e Firotek è consapevole che, solamente un approccio di formazione multidisciplinare, professionale e scientifico alle problematiche, rappresenta il mezzo per percorrere questa strada nelle migliori condizioni.

Il percorso che Firotek percorre ha come obiettivo la tutela della salute delle persone. Vogliamo una strada dritta e senza buche!

Si sente sempre più parlare di “Sicurezza sul lavoro”, ma spesso mi rendo conto che è ancora un argomento quasi del tutto sottovalutato o affrontato con superficialità.

Dal 2008 è entrato in vigore il famoso Decreto Legislativo 81/08, che tratta in maniera più o meno esaustiva tutte le procedure da adottare in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, da parte degli stessi e dei datori di lavoro, nonché degli RSPP.

Eppure ancora sento parlare della “626”! Da far rabbrividire…

E’ in questi casi che comprendo quanto sia totalmente messo da parte il D. Lgs. 81/08, perché molti non sanno neanche cosa significano quelle cifre! Figuriamoci se poi si sappia delle successive modifiche ad esso apportate!

Come disse un tale “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”!

Recandomi sui vari cantieri di lavoro, ho potuto osservare addetti alla manutenzione che lavorano con estrema naturalezza e tranquillità sugli impianti senza guanti, senza mascherine, senza caschi, che maneggiano coibentazioni sfaldate ignari dei pericolosi rischi che corrono inalando micro particelle di lana di vetro o di roccia e rispondono con una risatina quando glielo si fa notare.

Questo da un lato mi rammarica, perché è vero che il lavoro concreto si fa con le mani, ma se con il cervello troviamo il modo di faticare meno, con lo stesso cervello dovremmo riuscire anche a capire come si può fare tutto riducendo il rischio di incidenti; d’altro canto però mi fa rabbia il disinteresse dei datori di lavoro e dei responsabili della sicurezza, che non si adoperano finchè non arriva un controllo della ASL ad imporre la messa in atto delle norme di sicurezza e nella migliore delle ipotesi a multarli, perché molti non sanno che si può essere condannati anche penalmente con il carcere!

Sicurezza vuol dire VITA!

Noi ci prendiamo cura della vita e siamo felici di vedere che ai nostri seminari tecnici i partecipanti non approfittino dell’aula e delle luci soffuse per schiacciare un pisolino! Siamo fieri di rispondere alle domande dei consulenti della sicurezza e degli RSPP, che spesso si lamentano di non essere ascoltati o non presi abbastanza in considerazione dai loro superiori. Il loro lavoro si riduce semplicemente alla compilazione di un Documento di Valutazione dei Rischi e dunque in un fascicolo si racchiude la sicurezza di numerose persone.

Ho assistito anche a più episodi in cui l’RSPP veniva schernito dai lavoratori che consideravano le ore di corso una perdita di tempo.

Poi però facciamo proteste in piazza e commemorazioni per incidenti eclatanti, che fanno eco, dovuti a negligenza e sottovalutazioni da parte di tutti, nessuno escluso!

Fare sicurezza implica un costo per le aziende già alle prese con la crisi più forte dell’ultimo dopoguerra, ma perché non comprendere che la vita delle persone ne ha uno inestimabile?

Ce ne sono alcune che fanno meno del minimo indispensabile attualmente, pur essendo consapevoli che in sede di controllo possono rischiare moltissimo, ma devono pensare a salvare il lavoro e i numeri, “sperando che non succeda niente” rispondono congedandoti dall’incontro.

Esistono realtà completamente diverse, aziende che si pregiano di responsabili della sicurezza validissimi, incisivi ed efficienti, che riescono a fare veramente sicurezza, che impartiscono corsi di formazione interni, si aggiornano e si adoperano perché le persone siano al primo posto e dopo vengano i fatturati.

Esempi come questi sono ancora troppo pochi e troppo poche le aziende che aspirano ad assurgere al loro stato, ma confido che possano crescere sempre più in numero nel prossimo futuro e da parte nostra assicuriamo il massimo impegno perché possiamo essere un punto di riferimento e offrire una soluzione alle diverse problematiche che si possono presentare per la sicurezza di tutti!